sabato 28 novembre 2009

Guantanamo Italiane?

L’informazione nazionale si è recentemente occupata, dopo il caso di Stefano Cucchi, deceduto durante la propria detenzione a Roma, del problema della violenza in carcere. Occupata è sicuramente una parola grossa, un paio di servizi in due giorni di certo non rendono giustizia a un problema piuttosto serio del sistema carcerario nel nostro paese.
Partiamo dal fattaccio che ha portato a questa messa a fuoco del fenomeno da parte dei media.
Stefano Cucchi, 31 anni, viene fermato mentre sta fumando uno spinello con un amico. Viene perquisito e gli vengono trovati addosso 18 grammi di Hashish e viene arrestato. Era la notte tra il 15 e il 16 ottobre. Il giorno successivo si tiene il processo per direttissima e il giudice ritiene che il ragazzo debba passare il tempo fino al 13 novembre, data dell’udienza successiva, in carcere a Regina Coeli.
La famiglia viene tranquillizzata: per così poco in un paio di giorni il ragazzo sarà agli arresti domiciliari. Invece… Invece sabato 17 ottobre la famiglia viene avvisata che Stefano è ricoverato presso il reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini.
Ai familiari viene negata ogni possibilità di vedere Stefano e di incontrare i medici, e quando finalmente arrivano a disporre dell’autorizzazione, il 22 ottobre, si trovano davanti un cadavere. Dopo qualche vicissitudine la famiglia riesce a vedere Stefano, il corpo si presenta totalmente massacrato, la faccia sembra bruciata, un occhio è gonfio e l’altro sembra incavato, la mascella fracassata, costole fracassate e altre tumefazioni. Le foto sono state pubblicate comunque in rete, grazie all’autorizzazione della famiglia. Quello che è successo in carcere è ancora molto poco chiaro, per non dire totalmente oscuro, gli unici testimoni sono Stefano e chi l’ha massacrato.
Un caso isolato?  Forse. 62 persone decedute in carcere in 11 mesi sono un caso? Forse. Prendiamo qualche spunto da un’intervista a un ex-detenuto, pubblicata da
ilmanifesto.it. “Le prime botte le prendi all'ufficio matricola e poi continua così. Ti picchiano con manganelli o a mani nude, quando entri in carcere capisci che non vali niente, che non hai diritti. È come una giungla. Devi subito accettare le regole altrimenti sei morto, non intendo fisicamente, anche se può capitare.” Ecco la confessione di un trentacinquenne, detenuto per breve tempo per ragioni analoghe a quelle di Cucchi. Da altri passi dell’intervista si può evincere come il pestaggio da parte dei secondini sia routine nella vita dei detenuti. Si comincia con qualche schiaffo al reparto matricole per arrivare ai pestaggi notturni nella branda se non tieni bassa la testa quando un secondino ti guarda. In carcere sembra normale che per qualunque sciocchezza ti portino nei sotterranei e che delle guardie incappucciate massacrino i detenuti a manganellate, coprendoli con coperte per non lasciare segni.
Tutto questo chiaramente si esercito sulle matricole, sui detenuti mai stati in galera, ai camorristi non li tocca nessuno. Questo perché, come afferma l’intervistato: “le guardie si sfogano, senza paura, perché dicono che noi siamo pesc' e cannuccia', insomma gente che non conta niente.”
Vediamo ora un altro “caso isolato”: una registrazione proveniente dalla nostra regione, dal carcere di Teramo per la precisione. "Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto. Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto...” Le parole di questa guardia non lasciano dubbi: massacrare i detenuti è routine nel carcere di Teramo a quanto pare.
Si potrebbero citare altri episodi del genere, ma il quadro generale non cambierebbe.
Vogliamo cercare di dare giustificazioni per questo fenomeno? Puntiamo il dito contro il sovraffollamento delle carceri e tensioni conseguenti? Si, è vero, parlando di Teramo, l’istituto contiene quasi il doppio della proprio capacità: 400 detenuti su una popolazione ideale di 250. Una guardia può essere costretta a dover sorvegliare anche 100 detenuti nei turni notturni, e questo può essere certo fonte di tensioni.
Lascio alla discrezione del lettore  se giustificare questi episodi come casi isolati dettati da una condizione di stress o come un comportamento generalizzato da parte della categoria.
[V.]

Nessun commento:

Posta un commento